venerdì 14 marzo 2014

I GIGANTI DELLA MONTAGNA E LA TENTAZIONE DI ESSERE ILSE

Di loro, sul web, non si trova molto: alcune recensioni, tutte positive, tra cui quella di Mario Evangelista su Musica Jazz, molte su blog e siti in lingua inglese, poi alcuni link sulla distribuzione o per gli ascolti (che poi puntualmente vi darò).
Ma per fortuna a volte capita che le cose belle trovino te e ti facciano tornare la voglia di condividerle. Sono contenta che il primo post su questo blog, dopo tanto, riguardi I Giganti della montagna: un trio fondato nel 2012 dal sassofonista e compositore siciliano Ferdinando D'Urso insieme al pianista Lorenzo Paesani e al violoncellista Federico Sconosciuto.
Due frasi mi hanno colpito nel “dialogare” con Ferdinando D'Urso in occasione di questo post. Una stava nella lettera che accompagnava il suo bel cd e diceva “Spero che il cd ti piaccia come è piaciuto a noi farlo” e l'altra tra le righe dell'intervista che gli ho mandato: “... tutto quello che facciamo è un atto d'amore”.
Forse è questo il segreto, il piacere e l'amore che mettono nel loro lavoro è palpabile e infatti ci sta dentro tutto ciò che amano e che fa parte della loro formazione e del loro vissuto: la musica d'arte occidentale, la musica improvvisata, il jazz e la musica folk siciliana. L'obiettivo è raggiungere quel mix perfetto che potrebbe essere chiamato, con le parole di Gunther Schullerterza corrente.

Cosa ne è venuto fuori? Un lavoro inaspettatamente coerente, equilibrato e maturo.



A PROPOSITO DE “L'ARSENALE DELLE APPARIZIONI”


"L'Arsenale delle apparizioni", pubblicato da SLAM Productions, rappresenta l'esordio discografico de I Giganti della montagna.
Sia il nome del trio e il titolo del CD fanno riferimento all'ultima opera di Luigi Pirandello. In questa l'autore tratta della difficoltà che l'arte contemporanea incontra nella ricezione del pubblico. A questo proposito, dice Ferdinando, «viviamo lo stesso dramma di Pirandello che negli ultimi anni della sua vita si trovava scisso nel rapporto con il pubblico. Indubbiamente l’incomprensione è la piaga dell’arte contemporanea ed è chiaro che la posizione di Cotrone, quella dell’artista nella torre d’avorio, sembri la più semplice e risolutiva. È vero anche però che senza l’ostinazione di Ilse, che vuole portare l’opera al pubblico anche a rischio della propria vita, non avrebbe senso continuare a fare Arte. Non abbiamo mai meditato una posizione comune su questo punto ma, dalle lunghe conversazioni notturne avute nella casa bolognese di Lorenzo, posso evincere che le frequenti frustrazioni non riescono a spegnere in nessuno di noi la tentazione di essere Ilse. Quello che abbiamo deciso di fare è perciò una pia medietas: non ci imponiamo come l’eroina pirandelliana né ci ritiriamo come Cotrone. Piuttosto invitiamo il pubblico a dismettere i pregiudizi e ad entrare nel nostro “Arsenale” per vedere materializzate le nostre/loro storie».
L'Arsenale delle apparizioni è il luogo dove sogno e realtà si mescolano in una sintesi, dove si esorcizza il negativo; vuole essere il posto dove ognuno potrà riconoscere se stesso e la propria storia sovrapposta, confusa e allo stesso tempo coincidente con quanto detto in note da I giganti della montagna.

La realizzazione del disco è stata resa possibile grazie a una bella intesa fra i tre musicisti, racconta ancora Ferdinando D'Urso: «Il mio maestro di sassofono, Carlo Cattano, mi ha sempre detto che per fare un disco ci vogliono sostanzialmente due elementi: il repertorio e le persone con cui farlo. Alcuni brani che si possono ascoltare nel disco sono nel mio cassetto di compositore almeno dal 2008, ma non avevo mai incontrato le persone giuste per portare a termine il progetto discografico. In altre parole avevo avuto tanti “fidanzati” ma non avevo mai pensato sul serio al “matrimonio”. Quando ho incontrato Federico e Lorenzo ho capito subito che stavolta era arrivato il tempo di fare un passo avanti; la certezza è arrivata con la prima improvvisazione collettiva. Ci siamo trovati subito e abbiamo creato qualcosa di bello: era pieno d’ascolto reciproco, di rispetto, d’intesa».



RECENSIONE


Third Stream/Jazz/Improvised music
  
Label: Slam Productions; Anno 2014.
Ferdinando D'Urso, alto sax - Lorenzo Paesani, piano - Federico Sconosciuto, cello – Guest: Antonio Moncada, drum on Al Qantar.

Al Qantar/Al gran sole (carico d’amore?)/VN/Due frasi/Rest/Mamu/Concerto sacro/Ginestra/Estratto da “Whisteling”

L'Arsenale delle apparizioni è un album che cattura e rimane subito impresso, pur nella sua complessità. Cerebrale ma accattivante, denso, ricchissimo di spunti, incantatore, trasognato.
La combinazione degli strumenti è raffinata e la presenza del violoncello dona al disco un'atmosfera cameristica che si fa a tratti straniante e minimalista.
Elementi di jazz mediterraneo e musica mitteleuropea emergono e s'intrecciano per poi lanciarsi in ritmi indiavolati in Al Quantar. Più melodica e distesa Al gran sole (Carico d'amore) in cui il sax è poetico protagonista e fantasioso improvvisatore. Gli fanno degna eco, e contrappunto al tempo stesso, violoncello e pianoforte. Ingannatore l'incipit di VN, un tema cantabile e nostalgico che lascia presto il posto a uno scambio nervoso e sempre più serrato fra piano e sax, cui subentra in un secondo momento un angosciante violoncello in una trama sempre più rarefatta che si conclude riproponendo il tema iniziale in tono minore. Due frasi è un brano malinconico e riflessivo, in cui un raro equilibrio fra gli strumenti delinea un fraseggio intenso e dolente che man mano diventa ritmo nevrotico in cui il violoncello tesse fitte trame sbilenche.
Rest ha un mood più jazzistico, molto giocato sul dialogo tra strumenti, quasi un rimpiattino dall'effetto aspro, stridente ma divertente nella prima parte, e su una melodia più cantabile del piano nella seconda. Mamu è nitida e avvolgente, in equilibrio fra melodismo mediterraneo e tradizione afroamericana. Un bell'assolo di sax si spiega sopra un cupo sfondo dipinto dal violoncello e apre Concerto sacro, il brano più lungo dell'album, che nella prima parte fa quasi pensare a una narrazione, la struggente colonna sonora di un film malinconico. Questo incipit costituisce una sorta di leit motiv del brano, si ripresenterà inframezzato da motivi più spigolosi o allegramente jazzistici. Squisitamente cameristica l'atmosfera di Ginestra, piccolo gioiello che lascia presto il posto al brano conclusivo, Estratto da “Whisteling”, pezzo drammatico e solare al tempo stesso che, come tutto l'album, racchiude in sé la nostalgia di un tramonto e il fulgore di un'alba.
Nel complesso un lavoro maturo, ben strutturato, polimorfo. Piacevole già ad un primo ascolto grazie alle influenze cameristiche e mediterranee, ma che pretende un secondo e anche un terzo ascolto per poter cogliere, e quindi godere appieno, di ogni sua immaginifica sfaccettatura.


INTERVISTA


Per chi volesse approfondire e conoscerli meglio, di seguito uno stralcio dell'intervista a Ferdinando D'Urso.


    Chi sono I giganti della montagna? Cosa amano, cosa odiano, cosa leggono, come descriverebbero se stessi, la loro personalità.
Le nostre personalità sono abbastanza sfaccettate. Certo tutti e tre pensiamo che la nostra ispirazione non possa essere univoca: la musica è chiaramente centrale ma in essa convergono tutti i nostri interessi. Lorenzo è un cinefilo accanito, Federico ed io amanti della saggistica e del surreale. Tutti siamo legati dall’amore per i grandi classici della letteratura contemporanea fra cui gli interpreti della beat generation, Calvino, Pirandello (ovviamente). Tendenzialmente cerchiamo di essere leggeri nella migliore accezione che si vuol dare a questa parola: pertanto tendiamo a non odiare niente, eccezion fatta per le aperte mancanze di rispetto all’arte e agli artisti. Per il resto tutto quello che facciamo è un atto d’amore.
    Qual è la storia personale e il percorso artistico di ognuno di voi?
Tutti e tre abbiamo seguito percorsi all’insegna dell’eclettismo.
Io ho cominciato nella maniera più usuale possibile: a otto anni, studiando pianoforte senza troppo entusiasmo. A tredici ho cominciato con il sassofono lasciando il percorso classico dopo un paio di esami in conservatorio (Solfeggio e Pianoforte complementare). Grazie al jazz ho trovato un rinnovato slancio nei confronti della musica e – qualche anno dopo – il Lab PSL (del quale è possibile leggere in un mio articolo qui: http://artearti.net/magazine/articolo/lab-psl) ha decostruito molte sovrastrutture e mi ha aiutato a capire con quanta e quale libertà ci si possa approcciare all’improvvisazione. Nel frattempo il mio amore per la musica d’arte è rinato sempre più forte, in particolare quello per la musica contemporanea, tanto da portarmi decisamente verso i miei studi musicologici. L’approdo alle teorie schulleriane di “terza corrente” – dei quali accenno nel booklet del CD – è la sintesi di questo percorso a zig-zag fra classica e jazz. Ad oggi sto studiando per l’ammissione al corso di Composizione in Conservatorio.

Il percorso di Lorenzo è iniziato con la musica classica fino al diploma, si è poi ridefinito tramite la musica improvvisata – jazz e contemporanea – assecondando così un bisogno di indipendenza e libertà rispetto ad una partitura completamente scritta, fino ad arrivare alla composizione di colonne sonore per cortometraggi e documentari che gli permette di legare la passione per le arti visive all'improvvisazione.

Anche Federico non ha mai diviso la sua formazione classica dalla passione per il rock e, dalla conciliazione delle due anime, nasce uno spirito volto alla ricerca intesa come viaggio d'esplorazione nel mondo delle possibilità sonore. Da qui nasce l'esigenza della creazione di un'identità eclettica ma al tempo stesso ben definita, in cui l'ambiguità dell'ispirazione non contrasta con la riconoscibilità della direzione musicale. Le fonti a cui Federico fa riferimento, da Mozart ai Led Zeppelin, da Coltrane a De Andrè, sono come un minestrone: ogni cucchiaiata non ha mai solo una verdura, ma il sapore è dato dall'insieme degli aromi.

    Come vi siete incontrati e come nasce il vostro trio? Quali sono gli equilibri al suo interno?
Federico ed io eravamo colleghi, ci siamo conosciuti a Bologna durante le lezioni della Laurea Magistrale in Discipline della musica. È stato il classico colpo di fulmine: in pochissimo tempo la nostra amicizia sembrava già consolidata come dopo anni di frequentazione assidua. Infatti, siamo imbattibili a Tabù.
Lorenzo invece l’ho conosciuto durante i seminari di Musicologia e Giornalismo di Chieti in Jazz: era uscito il suo disco “Wayne’s Playground” e lui era lì per capire cosa macchinano i critici quando scrivono una recensione. In quell’occasione ho scoperto che vivevamo nella stessa strada a Bologna da almeno un anno e, paradossalmente, non ci eravamo mai incontrati.
Avendo instaurato anche con Lorenzo un’ottima intesa musicale e umana, ho intuito che i miei due amici avrebbero dovuto conoscersi; sapevo che sarebbe nato un sodalizio umano esplosivo e speravo anche una collaborazione musicale proficua. Abbiamo cominciato a provare e tutte le mie speranze si sono rivelate fondate.
Avendo cominciato a lavorare attorno alle mie composizioni, che sono poi afferite nel nostro “Arsenale”, spesso viene demandato a me l’onere del comando ma in realtà sono solo un portavoce. Il trio segue delle dinamiche molto fluide e familiari: ognuno apporta la propria esperienza e spende la propria creatività nella costruzione di un’opera collettiva. È come un discorso in perenne divenire a partire dal tema iniziale: tra uno spazio musicale e l'altro ascoltiamo quello che succede e permettiamo che succeda, assumendoci rischi reciproci, modificando di volta in volta il percorso per creare assieme nuove prospettive da dare al brano, scegliendo (più o meno coscientemente) una direzione.
In questo modo evitiamo la stasi o la monotonia e il risultato è sempre diverso, pur avendo come base di partenza e di arrivo lo stesso tema, che in nuce contiene tutte le possibilità immaginabili e quindi anche nessuna.
Se il nostro viaggio musicale fosse un film, potrebbe assomigliare a Smoking/No Smoking di Alain Resnais.

    Domanda di rito per la chiusura: progetti futuri? Avete concerti in programma?
Stiamo ultimando un nuovo lavoro discografico realizzato insieme ad un grande nome del jazz siciliano. Non voglio ancora dare troppe anticipazioni ma si tratterà di un lavoro abbastanza diverso da “L’arsenale delle apparizioni”: il repertorio contiene composizioni di tutti e quattro e molto è lasciato all’improvvisazione collettiva. Rispetto al primo progetto abbiamo cercato di ridurre al minimo le parti scritte che diventano solo appunti grafici o brevi temi dai quali partire o ai quali approdare. Il nuovo lavoro metterà in luce la nostra parte più creativa e sfrutterà la sempre maggiore comunione d’intenti del trio.

A cura di Manuela Angelini



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