venerdì 27 luglio 2012

RAF FERRARI QUARTET: MUSICA DA UN ALTRO PIANETA


SEMBRA DI UN ALTRO PIANETA LA MUSICA DI RAF FERRARI, MA LUI NON VIENE DA UN ALTRO PIANETA: LUCANO DI NASCITA E ROMANO D'ADOZIONE, INSIEME AL SUO QUARTETTO SARA' PROTAGONISTA DELLA PRIMA SERATA DI OLTRE IL BLU JAZZ FEST, MERCOLEDI' 22 AGOSTO ORE 21,30_PALAZZINA AZZURRA, SAN BENEDETTO DEL TRONTO (AP).
DI SEGUITO UN APPROFONDIMENTO PER CONOSCERLI MEGLIO.


Con eleganza e raffinatezza, attraverso soluzioni musicali di grande impatto emotivo, complesse ma orecchiabili Raf Ferrari, un jazzista che ragiona come un compositore classico, ci trasporta nel suo universo musicale lirico e ispirato, fatto di contrasti e dualismi resi attraverso un'originale fusione di melodia, ritmo e improvvisazione. “Venere e Marte” è un disco in cui sapientemente si fondono le influenze più varie: imperdibile.
















Raf Ferrari 4tet è il manifesto poetico del pianista lucano Raffaele Ferrari, rivelatosi al pubblico con il disco d’esordio “Pauper”, pubblicato nel 2009 sempre da Dodicilune. Quasi come fosse il secondo capitolo di una probabile trilogia, anche il nuovo “Venere e Marte” si presenta come un concept album dalla struttura a “scatola cinese”, fatto da piccole suite che citano mondi musicali apparentemente distanti, che vanno dal jazz alla musica classica e contemporanea. 

“Venere e Marte” conferma inoltre il sodalizio artistico della formazione con il clarinettista Gabriele Mirabassi, che collabora con il quartetto dal 2009, affiancandolo in importanti concerti, come quello tenuto all’Auditorium Parco della Musica di Roma, e ora nella registrazione di questo nuovo lavoro. L'idea che la musica possa essere un mezzo speciale ma al tempo stesso immediato, senza mezzi termini, nell'esprimere se stessi, costituisce il motore pulsante per il pianista lucano che interpreta i suoi brani come racconti dell'anima resi attraverso una sapiente fusione di melodia, ritmo e improvvisazione. Il lirismo del pianoforte, il fascino del violoncello, l’apporto essenziale e prezioso del clarinetto conducono l’ascoltatore in un viaggio nella follia dell’amore, nel conflitto rabbia/dolcezza, nella contrapposizione quiete/tempesta, trascinandolo in continui e repentini cambi di tempo che sottolineano la tensione e poi la stemperano con finali aperti, ironici, pieni di possibilità. Il concept è tutto racchiuso nelle poche parole scelte come note di copertina del disco: “I veri amanti sono sempre dei veri combattenti”. È in questo dualismo apparente che ruota il senso della narrazione musicale, sintesi di tutto ciò che Ferrari ha voluto racchiudere in questo disco: racconti d’amore e guerra sapientemente nascosti nelle trame delle composizioni originali.



VENERE E MARTE

È in distribuzione “Venere e Marte”, il nuovo lavoro discografico del quartetto guidato dal pianista Raf Ferrari e composto dal violoncellista Vito Stano, dal contrabbassista Guerino Rondolone e dal batterista Claudio Sbrolli, uscito per l’etichetta Dodicilune. Un concept album costruito attorno al dualismo amore/guerra che mescola insieme le varie influenze di Ferrari, dal jazz alla musica classica, e che trova naturale espressione nell’originale formula del piano trio con l’aggiunta della voce lirica del violoncello e dei preziosi inserti del clarinetto di Gabriele Mirabassi.






Ecco le tracce dell'album illustrate una per una:

Tracklist
1 - Hiroshima (Raf Ferrari)
2 - Bonjour Madame (Raf Ferrari)
3 - Il gioco di Van Lisa (Raf Ferrari)
4 - Lo Squalotopo (Raf Ferrari)
5 - Arabesque SRF (Raf Ferrari)
6 - Fou de Love (Angelo Branduardi)
7 - Capelli di Sagoma (Raf Ferrari)
8 - Il vuoto (Raf Ferrari)

1 - Hiroshima (Raf Ferrari)
La track d’apertura è il manifesto dell’intero album. Hiroshima è l’emblema di quello che la follia umana può concepire e provocare. Esiste, secondo il pianista, qualcosa in comune tra l’amore e la guerra, che si può riassumere nell’assenza di lucidità, nell’impossibilità di controllare gli istinti distruttivi e che si può descrivere come follia, appunto. Le macerie che vengono alla mente pensando a Hiroshima, sono usate dal pianista come metafora di ciò che resta quando finisce un amore. Musicalmente il brano è diviso in due parti, con la prima parte tematica esposta dal violoncello e la ritmica che interviene a sottolineare l’esplosione della pazzia. L’improvvisazione rappresenta la parte più meditativa, che introduce a un finale più rassicurante, pieno della speranza che anche dalla distruzione possa nascere qualcosa di buono.

2 - Bonjour Madame (Raf Ferrari)
L’immagine è quella di un villaggio africano, e di una coppia al risveglio. Le percussioni e il clarinetto fanno da inno al sole che sorge, sorprendendo i movimenti degli amanti; il tema del violoncello sorregge con dolcezza gli altri strumenti.

3 - Il gioco di Van Lisa (Raf Ferrari)
È la storia di una farfalla che strega e seduce col suo battito d’ali, ingannando l’innamorato sulla durata di quell’amore. Ciò che si crede durevole è destinato a concludersi presto. È il brano più breve dell’album, e anche quello più malinconico, suggerendo il senso di spaesamento e incredulità; perfettamente reso dall’esecuzione in trio (piano, violoncello, clarinetto), senza alcun momento improvvisativo.

4 - Lo Squalotopo (Raf Ferrari)
Brano ironico e divertente, è ispirato a una storia accaduta al quartetto nel corso della registrazione del primo disco. Nella dependance attigua allo studio di registrazione sul Lago di Bracciano, dove alloggiano i musicisti, si sparge la voce che per le stanze si aggira un topo. Barricati in una sola stanza, a contendersi il telecomando, la scelta cade sul celebre film di Spielberg, Lo squalo. Il tema del film scritto da John Williams è qui citato con originalità, e nel suo fondersi con quello composto da Ferrari dà il titolo al brano.

5 - Arabesque SRF (Raf Ferrari)
In questo brano Ferrari omaggia uno dei compositori più importanti per la sua formazione, Debussy, con un personale riarrangiamento dell’Arabesque n 1.

6 - Fou de Love (Angelo Branduardi)
Questo brano (unica cover del disco) è stato portato al successo da Angelo Branduardi. Il titolo vuol dire “pazzo d’amore” e il testo, scritto da Pasquale Panella, metteva insieme le più disparate lingue del mondo (inglese, spagnolo, francese, provenzale, napoletano, italiano antico), come a voler rappresentare la pazzia dell’innamorato non corrisposto che mette insieme vari idiomi per esprimere un concetto universale come l’amore.

7 - Capelli di Sagoma (Raf Ferrari)
Un altro tema lirico che narra di quel momento in cui gli amanti smettono di guardarsi; quello che si coglie dell’altro non è che la sua sagoma, una forma vuota, che sembra non contenere più nulla di quello che si era amato, un tempo. Anche questa volta il brano è strutturato come una minisuite; una moderna marcia funebre, in apertura, e una soluzione più aperta e ariosa nel finale.

8 - Il vuoto (Raf Ferrari)
Bonus track dell’album, anch’essa concepita come una mini suite. Rappresenta la parabola della vita di un essere umano.



E sempre a propositi del disco un'interessante intervista a Raf Ferrari, compositore di tutti i brani:


INTERVISTA
Raf Ferrari

Partiamo dal titolo. Nella mitologia, Venere e Marte, sono amanti e nemici al tempo stesso. Che cosa ti ha spinto a occuparti di questo dualismo?
In realtà non ho mai deciso di occuparmi di questo bel dilemma; semplicemente mi sono ritrovato a viverlo, come credo tutti almeno una volta nella vita. La cosa strana sta nel fatto che è come se questi due pianeti si fossero posizionati su di me volutamente, e in modo ripetuto, in un periodo relativamente breve che è coinciso con la gestazione di questo nuovo disco, tanto da influenzarne il percorso creativo.

L’opposizione tra amore e guerra, oltre a generare conflitto, determina anche equilibrio e armonia. Quali espedienti compositivi hai usato per rendere questi elementi?
La musica in genere credo possa esprimersi in grandi momenti di tensione e distensione, questo anche sotto un profilo strettamente armonico, per cui mi è risultato abbastanza naturale farlo. In alcuni casi questi aspetti sono evidenti a livello di strutturazione dei brani. Per me la forma, intesa come struttura, ha sempre avuto un’ importanza rilevante per poter mettere insieme aspetti espressivi apparentemente contrastanti.

Le atmosfere malinconiche del disco sono quasi sempre stemperate da una vena ironica che minimizza il tormento duale amore/follia; cionondimeno, questo aspetto è sempre presente, come se non riuscissi a concepire l’uno senza l’altra. È così?
Non credo sia così in assoluto, ma certamente lo è stato per questo disco, che essendo un concept album ha cercato di sviscerare il tema dell’amore e della follia attraverso vari approcci compositivi. È senz’altro vero, comunque, che nella quasi totalità dei brani la tensione iniziale viene sempre alleggerita dal finale, come a voler suggerire un’apertura, una possibilità, un lieto fine.

Che rapporto ti lega ai musicisti con cui hai diviso questo progetto e qual è stato il loro apporto a questo disco?
L’amicizia che mi lega a Vito, Claudio e Guerino ha reso tutto più semplice. Credo di poter affermare che in questi anni vissuti a Roma ho visto pochi progetti musicali così affiatati, sotto tutti i punti di vista. Le affinità musicali fra noi quattro sono notevoli, siamo partiti assieme come un vero gruppo underground. La voce del violoncello è probabilmente quello che ci contraddistingue dalla scena, e per me è stato un mezzo importante per trovare la mia vena compositiva. L’apporto del clarinetto, poi, calza a pennello per contornare i temi, farne di nuovi, dare quel pizzico di ironia in più, creare un amalgama sonoro che ha anche una sua tradizione storica. Quando poi il clarinetto lo suona uno come Mirabassi è un valore aggiunto e una marcia in più.

In questo disco, come già nel precedente “Pauper”, è presente un equilibrato connubio tra il jazz e la classica; le strutture dei brani sono tutte assai varie, e racchiudono influenze che vanno dalla grande tradizione pianistica americana a Debussy. Quali sono stati i tuoi riferimenti più importanti, e come sei riuscito a sintetizzarli?
I miei riferimenti sono stati i grandi compositori come Debussy, Mozart, Bach. A livello strettamente pianistico Chopin, lo stesso Mozart, Jarrett. Non so se sono riuscito a sintetizzarli, non credo si possa farlo. Ho solo imparato a parlare musicalmente ascoltando quello che loro hanno detto. Se dovessi citare dei dischi o delle opere probabilmente direi che ascoltare un concerto in piano solo di Jarrett è come attraversare un po’ la storia della musica e del pianismo. Poi ci sono Bud Powell e Monk che sono sempre oggetto di un ascolto attento e curioso da parte mia. Un altro dei musicisti che trovo formidabili dal punto di vista tecnico e dell'organizzazione mentale sul pianoforte è senz'altro Brad Meldhau. Accanto a tutto questo c’è poi il mio grande amore per il progressive rock, che è stato determinante per la mia formazione.

Nella tua biografia si legge che argomento della tua testi di laurea in Musicologia è stata l’estetica musicale di Keith Jarrett. Qual è stato l’apporto della musica di Jarrett nella tua formazione?
Jarrett è stata una delle scoperte più importanti della mia vita. Ha influenzato concretamente molte mie giornate di studio. L’affinità che ho trovato soprattutto nella sua poetica è stata forte, quasi rischiosa. È sempre un rischio per musicisti “umani” come me, conoscere musicisti che hanno qualcosa di “sovraumano” come Jarrett.

Tu sei lucano, ma da molti anni vivi e lavori nella capitale. Che cosa ti ha spinto a scegliere Roma come città nella quale stabilirti, e quali possibilità ti ha offerto?
Direi che sono fieramente lucano, forse anche troppo. Non sarei mai andato via dalla mia terra se non avessi fatto questa scelta di fare il musicista. Se un giorno avrò l’occasione e i mezzi per fare il musicista anche in periferia tornerò al mio paesello. Questo, naturalmente, senza nulla togliere all’altissimo livello musicale che gravita attorno alla capitale, a cui guardo con grande rispetto e curiosità, e che in questi anni mi ha aiutato molto a sviluppare la mia musica.

Nel tuo curriculum si notano le esperienze più disparate, che vanno da quelle in teatro alle collaborazioni con una band ska e con Ian Paice, batterista dei Deep Purple. Come sei riuscito a conciliare tante differenti sollecitazioni?
Il mio percorso musicale è stato naturale. Ho cominciato a suonare a orecchio e ho fatto tutte l’esperienze che fa un ragazzino passando nei vari gruppi, suonando vari generi davvero molto differenti tra loro. Mi sono diplomato che ero già grande, e tra l’altro in musica jazz e non in pianoforte classico sebbene chi mi ascolta crede che abbia fatto anche quel percorso. Ho sempre agito scegliendo ciò che mi piaceva.

Quali sono i progetti ai quali stai lavorando? “Venere e Marte” segue idealmente “Pauper”, come secondo capitolo di un’ideale trilogia. Stai già pensando al seguito?
Sì, l’idea è fare un disco che abbia come titolo “Quattro”, contenente quattro suite in quattro parti. Una di queste è già pronta, s’intitola Le stagioni e la suoneremo già nei prossimi concerti. Le altre tre sono una sorpresa, soprattutto per miei tre compagni di viaggio.


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