lunedì 9 aprile 2012

AL “PARTENZISTA” TANTO DI... CAPELLO!

Il partenzista è un disco che ascoltato in cuffia in una stazione ferroviaria una domenica pomeriggio di novembre potrebbe salvarvi la giornata, provare per credere!
Tutti bravi e originali i protagonisti: insieme a Lorenzo alla batteria, Dino Cerruti al basso, Lorenzo Paesani alle tastiere, Antonio Gallucci al sax e Francesco di Giulio al trombone.












Chi è Lorenzo Capello? Si potrebbe rispondere in tanti modi: un batterista genovese? si.... un compositore? Anche, ma non solo: Lorenzo Capello è... un visionario cantastorie e... un ex partenzista.
Direte voi “prima spiegaci cos'è un partenzista per capire cos'è un ex-partenzista!”. Ebbene, il partenzista è il contrario dell'arrivista: l'arrivista vuole arrivare, a qualsiasi costo, con qualsiasi mezzo. Il partenzista no, lui con qualsiasi mezzo, a qualsiasi costo, desidera, solamente, partire. E qui vengono in mente tutti i poetici rimandi all'idea di viaggio, di partenza come condizioni dell'esistenza.



Ex partenzista, dunque:

«Diciamo che sicuramente lo sono stato, per anni – racconta Lorenzo - almeno più di quanto lo sia adesso. È, per certi versi, una condizione frustrante, un bel limite... ma se vogliamo, a un certo punto ti dà dei vantaggi questa posizione, almeno quando riesci a capire che devi un po' cambiare approccio verso la realtà. A quel punto, non avere un obiettivo prefissato diventa un punto di forza, perché ti accorgi che non c'è fretta di arrivare da nessuna parte, e il partire già potrebbe bastare. Comunque insomma, son più contento adesso di quand'ero partenzista! E proprio perché ho sperimentato sulla mia pelle quella condizione, adesso provo un grande affetto verso i partenzisti, a cui il pezzo è dedicato».
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E Lorenzo ha fatto di certo tesoro delle sue partenze e del suo viaggio, ricco di tante letture, «libri un po' disparati... gialli e/o noir intelligenti, romanzi con storie che mi prendono bene ma scritti o tradotti meglio de Il Codice Da Vinci, il vecchio Stefano Benni, il vecchio Baricco, Tolkien». Poi ci sono i dischi, quelli ascoltati e riascoltati, consumati da ragazzo fino ad oggi: «Ho ascoltato e ascolto di tutto, in genere roba che mi spiazza e non mi risulta prevedibile se sono in cerca di ascolti “creativi”, o roba rasserenante se ho voglia di star tranquillo: quindi che so, da Italian Instabile Orchestra ai Pogues, dal nuovo Tom Waits al vecchio Tom Waits, da Stravinskij ai Deep Purple, da John Cage a Kind of Blue, e un sacco d'altro». E ancora i suoi luoghi, non solo quelli dei viaggi veri e propri - in posti sinceri, che non hanno ancora venduto l'anima ai turisti – ma anche quelli vissuti, come casa sua «perché è in mezzo agli alberi, si vede il mare, perché l'hanno fatta crescere i miei genitori assieme a me, e perché non riesco ad andarmene»



IL PARTENZISTA

Tutto questo Lorenzo ce lo restituisce, come un sincero e prezioso dono di sé, nel suo album di esordio da solista: IL PARTENZISTA , e come altro avrebbe potuto intitolarsi se non così.
Edito nel 2012 dalla Horange Home Records “Il partenzista” è un tourbillon evocativo, emozionale, musicale in cui si mescolano tanti generi col comun denominatore del jazz, immagini, sfumature, storie e ricordi all'insegna della libertà espressiva. Un disco è una ricetta fantasiosa e ogni ingrediente può essere reinventato e utilizzato a modo proprio. Ed è così che, con Martin Mystere vs Doctor Alzheimer, si alza il sipario su un fumoso jazz club americano in cui ambientare la storia di un cartone animato noir. La narrazione è affidata ai fiati, che ritmicamente si fronteggiano in un serrato racconto swingato, dal quale veniamo distolti, senza conoscerne l'epilogo, per passare alle atmosfere aperte e rilassanti di una fresca mattinata irlandese in The auld triangle, (omaggio ai Dubliners) atmosfere che ci fanno presumere, o perlomeno immaginare, un lieto fine per la storia precedente... E poi di nuovo via, ne Il circo di fine anno, un'allegra fanfara ci racconta storie di clown, acrobati e domatori d'antan, di una lontana, semplice allegria costantemente “sabotata” da quel refrain di “America” di Leonard Bernstein messo lì come un monito, un invito a non voler fare troppo gli americani apprezzando la nostra musica, senza guardare eccessivamente altrove. E poi la dolcezza di Lo zucchero filato, quella ghiotta nuvola creata da due barbieri americani, che nel 1897 inventarono la macchina per produrla. Oggi, attraverso le invenzioni tematiche di Lorenzo, al posto di quella macchina c'è il lettore cd a produrre zucchero per le nostre orecchie. Ma poi i tempi free jazz con echi progressive di Everybody's drug ci ricordano che tutti noi siamo più o meno sotto qualche sostanza stupefacente, di questi tempi... Stesse spigolose atmosfere in E' arrivato il 26 del mese, pezzo in pieno stile free jazz in cui la libertà degli interpreti è limitata dalle linee guida del capocomico. Loro però sembrano riderne di gusto. Ed ecco Bruma Shave un omaggio al mito, Tom Waits, dai temi sghembi e dinoccolati che lasciano il passo al continuo cambio tematico condito di swing di Passato prossimo, futuro possibile, un brano “fra il drammatco e il grammatico” in cui voler condividere la straniante sensazione del “senno del poi”. Siamo all'epilogo: dopo una delicata quanto appassionata Deseo.Temor ecco la title track a sorprenderci da ultimo con una nervosa interpretazione del testo di Capello, recitato da Massimiliano Caretta accompagnato da un andamento musicale sempre più concitato e ipnotico e poi... silenzio. Ci rilassiamo ma dopo un po' una ghost track ci fa sussultare, come un ultimo “buh!” di Lorenzo.
Un lavoro piacevole questo Il partenzista, godibile e pieno di spunti, di sorprese, di input su cui riflettere o fantasticare; “Un disco coerente. Incoerente. Comunque bello”; da ascoltare e riascoltare per scoprire e creare di volta in volta nuovi livelli di interpretazione.

«La cosa che mi piace di più – spiega Lorenzo - è che mi rappresenta molto. Rispecchia le mie lune diverse, la musica che ascolto, l'ironia che metto in molte cose, la serietà nascosta che metto nell'ironia, e altre cose varie. Molte persone che mi conoscono bene dicono che è curioso come Il Partenzista sia uguale a me, e io me ne sto e son contento. Mi piace poi che il disco finisca con una ghost-track che non c'entra nulla col resto dei pezzi e che seppur nascosta contenga un testo a cui tengo molto, ideale prosecuzione del testo de il Partenzista. E mi piace perché credo che non sembri il disco di un batterista, cosa che volevo fortemente fin dall'inizio. E anche perché dentro vi convivono cose determinate con precisione, che i miei compagni hanno suonato alla grande, con momenti di improvvisazione, suonate sempre con grande convinzione e leggerezza. E poi mi piace che si ride anche».



LORENZO SI RACCONTA. STRALCIO DELL'INTERVISTA A LORENZO CAPELLO




Lorenzo Capello, che vive a Riva Trigoso, piccolo paese della riviera ligure è uno che la sa lunga, e la sa raccontare. E così, tanto bello è stato il suo racconto che abbiamo deciso di riportarne qualche stralcio così come lui lo ha scritto, affermando di essere prolisso. Forse si ma possiamo pure prendercelo un po' di tempo per conoscere... buona lettura!

  1. Qual è stato il tuo percorso culturale e musicale fin'ora? Che tipo di musica ascolti nel quotidiano e che cosa maggiormente ti ispira/influenza nel tuo lavoro?
Culturalmente direi che mi vivono dentro un po' di cose che arrivano da luoghi diversi: l'astronomia che adoravo da bambino e ragazzo, la scienza in genere, i libri di esplorazioni geografiche di mio padre, quelli di scoperte e invenzioni che mi compravo da solo. Poi le cose che ho studiato al liceo, ma solo quelle che mi ricordo, e non son molte. Poi la geografia fisica che era l'unica cosa che mi piaceva a geologia, e infatti l'ho mollata. Poi varie cose che ho chiesto a gente che ne sa più di me. Poi libri, poi film e spettacoli a teatro di natura e provenienza varia, che in genere vengon scelti dalla mia ragazza perchè non sono mai informato sulle ultime uscite.
Musicalmente, ho ascoltato e studiato molto, soprattutto jazz. E' il genere, sempre che possa definirsi un solo genere, che più mi ha affascinato per le sue possibilità di personalizzazione. Per la caratteristica che ha di poter essere mio, tuo, di nessuno, o di molta altra gente, restando al tempo stesso semplicemente, e complessamente, jazz. Ho studiato anche un po' di arrangiamento e composizione, sebbene mi senta ancora piuttosto acerbo, e un po' di sassofono, che mi piace molto, e mi da un suono legato, note lunghe e intonate che con la batteria non posso avere a disposizione.
Ho suonato molti generi, rock, funk, pop, folk, lirica, classica, musica balcanica, oltre al jazz naturalmente, e credo che tutto questo sia andato a confluire in quel che scrivo e suono.
Una cosa che mi interessa molto inserire nelle cose che faccio, è la politica. Non quella dei partiti o dell' io sto di qua o sto di là (anche se ammetto, con orgoglio, di stare di qua), ma una specie di politica un po' astratta che viene dal pensare che ogni mia azione produca nella società, nella vita delle persone che mi stanno attorno una reazione sempre e comunque. Quindi, quando mi comporto con stile, dignità, sobrietà, intelligenza, lungimiranza, e altre belle parole, mi vien da pensare che io possa aver influenzato positivamente i miei vicini, ma anche i miei lontani. E ovviamente, è vero anche il contrario. Con i miei allievi ad esempio, cerco di stare attento a tutte le belle parole di cui sopra. Ogni tanto mi pare anche di riuscire a far della bella politica.

  1. Con “Il partenzista” sei al tuo esordio discografico da solista, parlami di questo esordio: come lo hai vissuto musicalmente ed emotivamente e cosa ti aspetti nel prossimo futuro?
Bè musicalmente è stato tutto piuttosto strano, intanto perchè prima di registrare non avevamo mai suonato tutti assieme, quindi speravo che andasse tutto bene, ma non ne ero affatto sicuro. Poi non sapevo se i pezzi che avevo scritto potevan funzionare, o meglio per alcuni lo sapevo, per altri no. Però insomma, alla fine è andato tutto bene, e siam riusciti in meno di quattro giorni a registrare dodici pezzi, alcuni anche piuttosto difficili, senza aver mai provato assieme, e il risultato mi soddisfa molto anche adesso che è passato un po' di tempo.
Emotivamente, è una cosa grande sapere che farai un disco tutto tuo, con responsabilità pressoché totale sul risultato finito. Da un lato ti mette un po' d'agitazione, ma dall'altra anche molta forza, molta energia, come succede sempre quando c'è qualcuno che crede in te. Parlo sia dei musicisti, che non mi stancherò mai di ringraziare, sia dell'etichetta discografica, la OrangeHomeRecords, che ha sede in uno studio di registrazione di Leivi, sulle alture di Chiavari, con la stanza del pianoforte con vista mare, e un giardinetto dove nella bella stagione si mangia fuori. Etichetta che, anche se piccola, mi da una mano per un bel po' di cose, mi da suggerimenti su direzioni da prendere, e cosa non da poco, ha co-prodotto il disco assieme a me, alleggerendo quindi le spese che non sono in genere affatto basse.

  1. Forse è banale chiederlo ma lo faccio lo stesso: come descriveresti la tua musica a chi si accinge ad ascoltarla?
In genere dico che è una roba con base che proviene direttamente dal jazz, sia come sound, sia come armonie, sia come approccio all'improvvisazione. Su questa base ci sono poi elementi di altre musiche (ma esistono altre musiche o la musica è una sola?), elementi teatrali, improvvisazione totale o quasi, il tutto cercando di essere una buona approssimazione del mondo reale o immaginario che mi/ci circonda.

  1. Passiamo al disco: tanti generi, immagini, sfumature: cosa vuoi comunicare a chi ascolta? In un periodo negativo come quello che stiamo vivendo come ti piacerebbe che il tuo disco venisse percepito? C'è una qualche “funzione” che la musica dovrebbe avere? Di denuncia, di evasione, di stimolo? La tua musica a che punto si pone?
Quando ho registrato il disco volevo semplicemente mettermi a nudo, visto che era il primo disco a nome mio. Quindi tirar fuori tutte le cose che mi ero lasciato dentro da qualche parte, e in vari modi comunicare quelle. Non mi son preoccupato troppo di piacere o non piacere, anche se preferisco suonare cose piacevoli, piuttosto che fastidiose per la gente che mi ascolta. Giuro che ho in repertorio un sacco di musica piena di casino, ma non credo la metterò mai su disco.
In questo periodo negativo, spero che la mia roba, sia sul disco che live, sia percepita un po' con la frase: “Ah, ma allora SI PUO' FARE”. Nel senso che troppo spesso in musica ci si rifugia dietro a cose apparentemente rassicuranti: una cover band, qualche soldo facile, “la gente vuole questo”, etc. Io mi sono imposto di seguire semplicemente quello che mi andava di fare, e spero che chi ascolta 'ste cose possa pensare, almeno, che tutto questo è, almeno, possibile.
Mi chiedi una qualche funzione che la musica dovrebbe avere... Bè, ne ha molteplici, immagino, ed è giusto che ognuno vi trovi la sua. Voglio dire, sarebbe orribile pretendere che in discoteca si balli John Zorn, o che mentre qualcuno sta cucinando si ascolti integralmente “Kulu Se Mama” di Coltrane. Quindi ben venga la musica “leggera”. Però mi piace pensare che ogni momento della nostra giornata possa avere una sua chiamiamola “colonna sonora” (qui si rivà alla grafica del disco simil schermo cinematografico), ed è un peccato che molta gente non sappia che c'è musica più adatta a stare nel traffico rispetto al tunz-tunz che spesso filtra dai finestrini chiusi all'ora di punta.
Denuncia, evasione, stimolo, sono tutte funzioni che ci devono essere nella musica, almeno per quanto mi riguarda. Aggiungerei onestà verso se stessi e gli altri, lungimiranza, divertimento, immaginazione.

  1. Come nascono le tue composizioni?
Nascono in modi diversi … Alcune da un giro armonico che mi convince al pianoforte, altre da una melodia che mi canto, altre da un riff di basso su cui costruisco il resto. Ma ad esempio Everybody's drug è nata dal titolo, nel senso che volevo rappresentare quest'idea dell'essere umano che ha bisogno in qualche modo di esser dipendente da qualcosa, da una droga appunto, che sia reale o immaginaria, che sia una sostanza proibita o legalissima. E quindi ho poi strutturato il pezzo su quest'idea. Comunque, in generale il mio “processo compositivo” ha sempre un po' di cose in comune: inizio da un'idea di quelle descritte sopra, e quando mi accorgo che l'idea è forte, mi lascio ispirare dall'idea stessa, da come si sviluppa. Alcuni pezzi infatti sono diventati molto diversi da come li avevo immaginati all'inizio. Poi, cerco sempre di capire se quello su cui sto lavorando può essere interessante, o se è molto già sentito, nel qual caso butto via tutto, o lascio il pezzo in quarantena. Infine, se non avessi il computer che mi suona un po' di cose, ci metterei mesi per scriver qualcosa che per fortuna mi richiede molto meno tempo.

  1. Ami molto giocare con le parole: che rapporto hai con la scrittura, la letteratura, quanta ne metti nella tua musica? Quanta importanza dai ai titoli dei pezzi?
Sì mi piace molto: col passare degli anni è diventata quasi una malattia pensare alle parole come a portatrici di affascinanti giochi sonoro-lessicali che ne cambiano il significato in modo spesso anche molto surreale. Ne escono spesso barzellette, o anche qualche titolo sì. E i titoli sono molto, molto importanti. Intanto perchè in generale è musica strumentale, quindi, diamole almeno un significato interessante che ne descriva l'origine, o la destinazione chissà. Poi, dal vivo un titolo si può, se si vuole, spiegare e parlarne col pubblico, e mi piace raccontare di cosa parla la mia musica. E poi, anni fa lessi Charles Mingus nelle note di copertina di “Changes One”, che parlando di “Remember Rockfeller At Attica” diceva che in origine quel pezzo aveva tutt'altro titolo, ma che poi lo cambiò perchè gli sembrava giusto usare una composizione come denuncia di qualcosa (Rockfeller aveva represso con la forza una rivolta in una delle sue città operaie, Attica appunto). Allora da lì ho capito che spesso il titolo deve avere una valenza più alta.

  1. Come è nato il tuo gruppo e che rapporto hai con i tuoi musicisti?
Dino Cerruti, il bassista, lo conosco e ci suono con gran piacere da anni. Gli altri sono tutti ragazzi che ho conosciuto a Siena Jazz, scuola da anni importantissima nella didattica di questa musica. Lì frequentammo nel 2008-2010 il master biennale InJaM, dove suonammo assieme in varie formazioni e incontrammo numerosi musicisti-insegnanti di fama-e bravura soprattutto-mondiale. Devo dire che l'esperienza di InJaM mi ha cambiato la vita, sia a livello batteristico sia a livello compositivo, grazie a Bruno Tommaso che mi ha fatto entrare con grazia da una parte, e estrema curiosità dall'altra, in un mondo quale quello della composizione e dell'arrangiamento che conoscevo poco ma che mi ha sempre attirato da matti, forse anche più di quello relativo al mio strumento.
E poi appunto, a Siena ho conosciuto i “miei” musicisti, abbiam suonato assieme, abbiam riso, passato un sacco di tempo assieme, abbiam scoperto che si andava molto d'accordo, e per me è fondamentale fare musica in questo modo.

  1. Nei live date maggiore spazio alla composizione o all'improvvisazione?
Direi metà e metà. Nel senso che in genere eseguiamo un bel po' dei pezzi del disco, qualche cosa di nuovo, qualcosa che recito io con gli altri che mi fan un po' di delirio sotto, ma ci sono anche delle specie di veri e propri “giochi” musicali basati sull'improvvisazione, dove molto spesso il pubblico ha un ruolo attivo, quasi da direttore d'orchestra. La gente può interagire con noi facendoci smetter di suonare ad esempio, o entrando in una composizione estemporanea gettando un dado, oppure alzando cartelli con indicazioni per i musicisti. Tutto questo perchè mi va l'idea che il pubblico possa diventare parte di quello che vede sul palco. Quindi, un modo per esprimere consenso e dissenso in maniera costruttiva, andando a lavorare sull'improvvisazione che diventa un po' una metafora di buona parte della nostra vita quotidiana: non tutti abbiamo le giornate e gli anni scritti su uno spartito in modo preciso e sempre uguale.

  1. Progetti futuri?
Il progetto nel primo futuro possibile è quello di cercare tanti live, per divertirci un po' e farci conoscere come band. Quindi, si lavora alla promozione in modo autarchico. Poi vedremo che succede, e decideremo come muoverci. Io personalmente voglio approfondire ancora il discorso compositivo, c'ho preso gusto a unire i puntini delle note e a veder cosa appare...


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2 commenti:

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