Salve a tutti amici! Dopo una lunga pausa in cui è successo davvero di tutto ecco che torniamo a concentrarci su di noi, sul nostro viaggio alla ricerca del jazz... e dintorni direi, ossia i “dintorni” non li disdegniamo di certo, convinti come siamo che il jazz, oggi, non sia più quello storicizzato ma stia vivendo ormai da tempo una fase di - oseremmo dire - “globalizzazione”.
Come dice il grande Herbie Hancock: «Il jazz non è più quello dei miei esordi, si è evoluto in una nuova musica globale. È nato dall'esperienza degli afroamericani ma oggi è un patrimonio che appartiene a tutti».
È nostra convinzione che il jazz sia la musica dell'individuo fatta insieme, fatta in gruppo, per cui è fondamentale per un musicista riuscire a trovare la propria “voce”, mettere a fuoco, individualizzare il proprio personale suono, senza che questo diventi un'ossessione, ma con serenità e cercando sempre di seguire il proprio percorso onestamente.
Ma se il jazz è questo, o meglio, è anche questo, allora è inevitabile che tale musica si evolva verso percorsi che esulano dal linguaggio jazzistico standardizzato per dare spazio a sfumature etniche, classiche, colte e al dialogo fra musicisti come al dialogo fra le varie forme d'arte che spesso, tra di loro, si influenzano. Il bello di questa musica è che permette di utilizzare linguaggi diversi che appartengono al percorso personale e creativo di ognuno o alle proprie radici per cui ci appare del tutto naturale che questa musica si evolva in varie forme, a seconda del contesto o del paese che si va ad esplorare.
Bye Bye Jazz di Alessandro Rak e Andrea Scoppetta - Italia |
Torniamo a ripetere che il jazz non è morto: molto interessante a tal proposito è l'articolo di Giorgio Rimondi “Del jazz defunto e della critica asfittica” pubblicato su all about jazz a cui rimandiamo onde evitare noiose lungaggini. Per ora ve lo proponiamo:
buona lettura!
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